sabato 2 aprile 2016

La rete ci abitua ad avere bisogno di lei

Lo afferma Sherry Turkle nel suo intelligente ed attento saggio Reclaiming conversation ( riprendiamoci la conversazione), in senso metaforico, ma se internet non ha intenzioni chi progetta le nostre interazioni sul web ne ha di intenzioni ed anche molto concrete e precise.
La Turkle si occupa proprio degli aspetti più problematici dei social network e della telefonia mobile.
Turkle, psicologa clinica, sociologa ed insegnante del Mit ( Massachusett institute of technology) non è affatto contraria alla tecnologia ma dopo una vita professionale passata a studiare i rapporti tra persone e computer, la sua opinione è che una nuova rivoluzione della comunicazione sta deteriorando i rapporti umani.
Vent’anni fa la più grande ambizione dei laureati era lavorare alla Goldman Sachs o alla Morgan Stanley, oggi gli studenti aspirano a lavorare per un social network e per questo si specializzano in informatica, psicologia applicata ed economia comportamentale: in altre parole le discipline che premettono di sfruttare le debolezze umane per realizzare prodotti legati ai comportamenti compulsivi della gente.
Alcuni designer di app più famosi della Sillicon valley vengono dal Persuasive tachnology lab della università di Stanford, il laboratorio fondato nel 1998 da B.J Fogg la cui tesi di laurea usava “ metodi della psicologia sperimentale per dimostrare che i computer possono cambiare in modo prevedibile i pensieri e i comportamenti delle persone” si legge sul sito web dell’istituto.
Fogg organizza “campi di addestramento sulle tecniche di persuasione” per le aziende tecnologiche. Chiama il suo settore di ricerca “captologia” che deriva da “computers as persuasive technology”
( computer come tecnologia della persuasione)
Nir Eyal ha scritto una guida pratica intitolata Creare prodotti per catturare i clienti. Ex progettista di videogiochi e professore di “psicologia dei consumi applicata”, Eyal spiega perché le applicazioni come Facebook sono così efficaci. Cosa spinge l’utente a trascorrere ore al giorno nei social? La molla di Facebook è il Fomo, fear of missing out, la paura di non esserci, mentre su Instagram, oltre alla solita paura di non esserci, lo staff ha lavorato sulla creazione di una sensazione di disagio per “la paura di sprecare un momento speciale non potendolo condividere” poter postare e condividere una foto di questo momento che per noi è speciale, attenua questo disagio.

Postare su facebook o su Instagram contribuisce all’accumulo globale della paura di non esserci.

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