domenica 4 luglio 2021

Ipcc 2022

 


La situazione è gravissima, come scritto nell’ultima relazione dell’ Ipcc il gruppo intergovernativo di esperti ( se fossero virologi li chiamerebbero scienziati, ma questi lo sono veramente) sui cambiamenti climatici. Un comitato scientifico di alto livello convocato dal 1988 per studiare le cause, gli impatti dei cambiamenti climatici e le possibili soluzioni al problema.
Secondo il documento, anche se il ritmo di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra dovesse essere sostenuto, gli impatti su animali, flora e esseri umani saranno comunque devastanti. “La vita sulla Terra può ristabilirsi in caso di cambiamenti climatici massicci, evolvendo verso nuove specie e creando nuovi ecosistemi. Ma per l’umanità questo non è possibile”, spiega il rapporto tecnico a pagina 137.

“Il peggio è di fronte a noi – ha aggiunto l’Ipcc – e a pagarne le conseguenze, molto più di noi, saranno i nostri figli e i nostri nipoti”.
Il nuovo rapporto dell’Ipcc indica che il Pianeta è ad un bivio: o decidiamo di governare una rivoluzione o assisteremo ad una catastrofe.

Secondo una bozza di rapporto del Ipcc (gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico)  ottenuto dalla agenzia di stampa francese Afp, la crisi climatica in corso avrà un impatto devastante sulla vita sulla terra già fra trenta’anni, anche nello scenario migliore
di riduzione delle emissioni di gas serra “ il peggio deve ancora venire, si legge nel rapporto, che sarà pubblicato nel febbraio 2022. “la crisi avrà conseguente molto maggiori sulle vite dei nostri figli che sulle nostre”. I punti principali del rapporto sono 4.

PRIMO, il riscaldamento del pianeta è già in atto. La temperatura media di 1,1 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Si va verso un aumento di 3 gradi entro la fine del secolo, non di 1,50 o due, che era l’obiettivo dell’accordo di Parigi.

SECONDO entro il 2050 decine di milioni di persone in più soffriranno la fame, 130 milioni in più saranno in povertà estrema, centinaia di milioni vivranno in zone a rischio d’inondazione, 350 milioni in più avranno problemi di siccità e ancora di più subiranno ondate di calore.

TERZO ci potrebbero essere conseguenze irreversibili, tra cui lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia e Antartide occidentale e la trasformazione di parte della foresta amazzonica in savana.

Il quarto punto è dedicato alle azioni da intraprendere per prepararsi alla crisi, significativo il verbo usato PREPARARSI ALLA CRISI.




giovedì 24 giugno 2021

CATTIVE MEDICINE

 


La reboxetina è un farmaco che ho prescritto anch’io. Con uno dei miei pazienti le altre medicine non avevano funzionato, perciò volevamo provare qualcosa di nuovo. Prima di scrivere la ricetta avevo letto i dati dei test clinici, e avevo visto che erano ben strutturati e che i risultati erano in prevalenza positivi. La reboxetina funzionava meglio di un placebo ed era alla pari con gli altri antidepressivi con i quali era stata messa a confronto. L’Mhra, l’agenzia che regolamenta la diffusione dei farmaci e dei prodotti sanitari del Regno Unito, l’ha approvata. In tutto il mondo, se ne prescrivono milioni di dosi ogni anno. Doveva essere un farmaco efficace e sicuro. Ne ho parlato brevemente con il paziente e abbiamo concordato che era la cura giusta da provare, quindi ho firmato la ricetta.

Ma ci eravamo sbagliati. Nell’ottobre del 2010 un’équipe di ricercatori è riuscita finalmente a mettere insieme tutti i dati disponibili sulla reboxetina, presi sia dai test clinici pubblicati sia da quelli mai apparsi sulle riviste specializzate. E il quadro che ne è uscito è stato terrificante. Erano stati condotti sette test in cui il farmaco veniva confrontato con un placebo. Solo uno, effettuato su 2S4 pazienti, aveva dato risultati nettamente positivi, ed era stato pubblicato su una rivista scientifica. Ma gli altri sei test, condotti su un numero di pazienti dieci volte superiore, avevano dimostrato che la reboxetina non era più efficace di una qualsiasi pillola di zucchero. Nessuno di quei test era stato pubblicato e non avevo idea che esistessero.

Ma c’è di peggio. Dai test che confrontavano la reboxetina con altri farmaci è emerso esattamente lo stesso quadro: tre piccoli studi, su un totale di 507 pazienti, dimostravano che i farmaci davano tutti gli stessi risultati, ed erano stati tutti pubblicati. Ma i dati su uno studio con 1.6S7 partecipanti erano stati ignorati: dimostravano che i pazienti che prendevano la reboxetina stavano peggio di quelli che usavano altre medicine. Come se non bastasse, c’erano anche gli effetti collaterali. Dagli studi apparsi sulle riviste specializzate sembrava che il farmaco funzionasse, ma quando abbiamo visto quelli non pubblicati abbiamo scoperto che c’erano più probabilità che i pazienti ai quali era somministrata la reboxetina avessero effetti collaterali, smettessero di prenderla e abbandonassero la sperimentazione proprio a causa di quegli effetti.

Avevo fatto tutto quello che un medico deve fare. Avevo letto gli articoli, li avevo valutati criticamente, ne avevo discusso con il paziente e avevamo deciso insieme sulla base delle prove a nostra disposizione.

Secondo il materiale pubblicato, la reboxetina era un farmaco efficace e sicuro. In realtà, non era meglio di un placebo e faceva più male che bene. In pratica, avevo danneggiato il mio paziente, semplicemente perché i dati negativi sul farmaco non erano mai stati pubblicati.

In quel caso, nessuno aveva infranto la legge. La reboxetina è ancora sul mercato e il sistema che ha permesso che questo accadesse è rimasto immutato, per tutti i farmaci, in tutti i paesi del mondo. I dati negativi spariscono in tutti i settori della medicina. Le istituzioni e le associazioni professionali che dovrebbero censurare certi comportamenti non lo fanno. Questi problemi sono sempre stati tenuti nascosti al pubblico perché sono troppo complessi da capire. Per lo stesso motivo non sono mai stati del tutto risolti dai politici, e quindi richiedono una spiegazione più dettagliata. Le persone di cui pensavamo di poterci fidare ci hanno tradito, e dato che per risolvere un problema bisogna capirlo bene, c’è una serie di cose che tutti dobbiamo sapere.

L’efficacia dei farmaci viene verificata da quelli che li fabbricano, con test clinici mal progettati e condotti su un piccolo numero di pazienti poco rappresentativi, e analizzati con tecniche truccate che enfatizzano solo i benefici. Ovviamente, questi test tendono a creare risultati favorevoli al produttore. Quando emergono dati non graditi, alle aziende è riconosciuto il diritto di tenerli nascosti a medici e pazienti, quindi a noi arriva un quadro falsato dei veri effetti di qualsiasi medicina. Le agenzie di regolamentazione leggono la maggior parte dei risultati dei test clinici, ma solo quelli condotti nelle prime fasi di sperimentazione sul farmaco, e comunque non li danno ai medici e ai pazienti e non li rendono noti neanche alle altre istituzioni governative. Queste prove falsate vengono poi rese pubbliche e applicate in modo distorto.

Nei loro quarant’anni di pratica, dalla laurea alla pensione, i medici raccolgono informazioni dai rappresentanti delle case farmaceutiche, dai colleghi e dalle riviste specializzate. Ma i loro colleghi possono considerazione i risultati di 192 test, che mettevano a confronto una statina con un’altra o con un trattamento diverso. I ricercatori hanno scoperto che era venti volte più probabile che gli studi finanziati dall’industria dessero risultati positivi.

Questa è già una notizia preoccupante, ma riguarda i singoli studi. Proviamo a considerare indagini più sistematiche. Nel 2003 ne sono uscite due. Entrambe avevano preso in esame tutti gli studi resi noti fino ad allora sull’associazione tra finanziamenti dell’industria e risultati positivi, e avevano scoperto che era quattro volte più probabile che i test finanziati dalle case farmaceutiche dessero risultati positivi. Un’indagine del 2007 ha analizzato gli studi compiuti nei quattro anni successivi e ne L’efficacia dei farmaci viene verificata da quelli che li fabbricano, con test clinici condotti su un piccolo numero di pazienti essere pagati dalle case farmaceutiche, spesso in segreto, e così anche le riviste. A volte perfino i gruppi di pazienti sono pagati. E infine gli articoli accademici, che tutti considerano obiettivi, spesso sono scritti da persone che lavorano per l’industria del farmaco. A volte intere riviste scientifiche sono di proprietà di un’azienda. A peggiorare la situazione c’è il fatto che per quanto riguarda alcune delle questioni più importanti della medicina non abbiamo idea di quale sia la cura migliore, perché nessuno ha interesse a condurre i test cinici.

La cura migliore
Nel 2010 un gruppo di ricercatori di Harvard e dell’università di Toronto ha preso tutti i test clinici effettuati sulle cinque categorie di medicinali più importanti- antidepressivi, farmaci per l’ulcera e così via -e ha considerato due elementi chiave: se i risultati erano positivi e se gli studi erano finanziati dall’industria farmaceutica. Nel complesso ne hanno esaminati 500, e hanno scoperto che 1’85 per cento degli studi finanziati dall’industria dava risultati positivi. Nel caso di quelli finanziati con fondi pubblici la percentuale era del 50 per cento.

Tre anni prima un altro gruppo di ricercatori aveva esaminato tutti i test pubblicati sui benefici di una statina. Le statine sono farmaci che abbassano il colesterolo riducendo il rischio di un infartoe sono prescritti in grandi quantità. Lo studio ha preso in ha scoperti altri venti. Tutti, tranne due, dimostravano che i test sponsorizzati dall’industria davano risultati positivi. Sembra che succeda la stessa cosa con i risultati presentati durante i convegni accademici. Nel 2004 James Fries ed Eswar Krishnan dellafacoltàdi medicina dell’università californiana di Stanford hanno analizzato tutti gli estratti delle relazioni presentate al convegno dell’American college ofrheumatology del 2001, in cui erano stati riportati i risultati di test sponsorizzati dall’industria farmaceutica, per cercare quanti di quei risultati fossero stati favorevoli al farmaco dello sponsor. Questa è stata la loro conclusione: “I risultati di tutti gli studi controllati randomizzati (45 su 45) erano a favore del farmaco dello sponsor”.

Come fanno i test clinici sponsorizzati dall’industria a dare quasi sempre risultati Da sapere Mercato mondiale dei farmaci, considerando i prezzi dei farmaci all’uscita dalla fabbrica, zon positivi? A volte sono volutamente falsati. Si può scegliere di confrontare il nuovo farmaco con qualcosa che si sa essere inefficace (per esempio un medicinale già esistente in una dose inadeguata o un placebo). Si possono scegliere attentamente i pazienti che reagiranno meglio alla cura. Si può interrompere il test in anticipo quando i risultati sono buoni. A volte, le aziende conducono molti test, e semplicemente non pubblicano i risultati quando vedono che non sono quelli che vorrebbero.

Dato che i ricercatori sono liberi di nascondere i risultati che vogliono, i pazienti corrono grossi rischi. Spesso i medici non hanno idea dei veri effetti delle cure che prescrivono. Questo farmaco funziona veramente bene o mi è stata tenuta nascosta la metà dei dati? Nessuno può saperlo. Potrebbe uccidere il paziente? Non si sa. È una situazione molto strana perla medicina, un campo in cui tutto dovrebbe basarsi su prove documentate. Questi dati vengono tenuti nascosti a tutti quelli che lavorano nel settore, nessuno escluso. Il National institute for health and clinical excellence (Nice), per esempio, è stato creato dal governo britannico per condurre un’analisi attenta e imparziale di tutte le prove raccolte sui nuovi trattamenti. Eppure non è in grado di accedere ai dati sull’efficacia di un farmaco che i ricercatori o le aziende non vogliono rivelare. Anche se deve prendere delle decisioni che riguardano milioni di persone, legalmente il Nice ha lo stesso diritto di vedere quei dati di un singolo cittadino.

Quando un’équipe di ricerca conduce un test su un nuovo farmaco per un’azienda farmaceutica, ci aspetteremmo che firmi un contratto che prevede l’obbligo di pubblicare i risultati e che impedisce all’azienda di censurame una parte. Ma, anche se è risaputo che le ricerche finanziate dall’industria sono falsate, questo non succede. Al contrario, è assolutamente normale che i ricercatori e gli accademici responsabili di uno studio firmino un contratto con clausole che gli impediscono di pubblicare, discutere e analizzare i dati ottenuti senza il permesso del finanziatore.

È una situazione così vergognosa che può essere pericoloso perfino parlarne. Nel 2006, sul Journal of the American medical association (Jama), una delle riviste specializzate più importanti del mondo, è uscito un articolo in cui si descrivevano i vincoli imposti ai ricercatori nella pubblicazione dei risultati di test farmaceutici finanziati dalla casa produttrice. Lo studio era stato condotto dal Nordic Cochrane centre, un istituto con sede in Danimarca, prendendo *** in esame i test effettuati a Copenaghen e Frederiksberg. I test erano quasi tutti sponsorizzati dall’industria farmaceutica (98 per cento) e le norme che regolavano la gestione dei dati erano come al solito tra l’inquietante e l’assurdo.

In 16 casi su 44, l’azienda aveva il diritto di vedere i dati man mano che emergevano, e in altri i6 poteva decidere di interrompere lo studio in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo. Questo significa che una casa farmaceutica può verificare se i risultati vanno contro i suoi interessi e intervenire in corso d’opera, distorcendoli. E anche se autorizza a portare a termine lo studio, può sempre decidere di non rendere noti i risultati: c’erano vincoli sulla pubblicazione in 4o dei 44 test, e in metà dei casi il contratto specificava che l’azienda era proprietaria assoluta dei dati, doveva approvarne la pubblicazione finale, o entrambe le cose. Nessuno di questi vincoli era menzionato negli articoli pubblicati.

Quando è apparso l’articolo sul Jama, la Lif, l’associazione delle case farmaceutiche danesi, ha risposto sulla rivista dell’associazione medica danese dicendo di essere “sorpresa e furiosa per queste critiche e di considerarle assolutamente infondate”. Ha reclamato un’inchiesta, senza però dire condotta da chi e su che cosa. Poi ha scritto alla commissione danese che si occupa degli illeciti in campo scientifico, accusando i ricercatori del Cochrane di scorrettezza. Non mi è stato possibile vedere la lettera, ma secondo i ricercatori le affermazioni che conteneva erano molto gravi – erano stati accusati di aver deliberatamente distorto i dati – anche se vaghe e non documentate.

Eppure l’inchiesta è andata avanti per un anno. Peter Getzsche, che dirige il Cochrane centre, ha dichiarato al British Medical Journal che solo la terza lettera della Lif, inviata dieci mesi dopo la sua prima replica, conteneva accuse specifiche sulle quali la commissione poteva indagare. Due mesi dopo, l’istanza è stata archiviata. I ricercatori del Cochrane non avevano fatto niente di scorretto. Ma prima che fossero definitivamente prosciolti, la Lif ha mandato una copia delle lettere che li accusavano di disonestà scientifica all’ospedale dove lavoravano quattro di loro e all’azienda che lo amministrava, e ha inviato lettere simili all’associazione medica danese, al ministero della salute e al ministero della ricerca scientifica. Gatzsche e i suoi colleghi si sono sentiti “aggrediti e minacciati” dal comportamento della Lif, che ha continuato ad accusarli di scorrettezza anche dopo la chiusura dell’inchiesta.

Un caso da manuale
La paroxetina è un antidepressivo piuttosto comune che appartiene a una classe di farmaci noti come inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, o Ssri. E fornisce un buon esempio di come le aziende abbiano approfittato della poca attenzione dedicata dalla comunità scientifica ai risultati dei test cinici, trovando scappatoie legali. Per capire come sia possibile, dobbiamo prima di tutto accennare a un’anomalia del processo di approvazione dei medicinali. Quando un farmaco viene commercializzato non può essere destinato a qualsiasi uso: è necessaria un’autorizzazione specifica per ogni tipo di impiego. Quindi, per esempio, un medicinale può essere autorizzato per il trattamento del cancro alle ovaie ma non di quello al seno. Questo non significa che nel secondo caso non funzioni. Può anche essere di efficacia dimostrata, ma la casa produttrice non si è presa la briga di richiedere un’autorizzazione formale per quell’uso o non ha voluto affrontare la spesa che questo comporterebbe. I medici possono decidere di prescriverlo comunque per il cancro al seno, perché probabilmente funziona ed è sicuramente disponibile nelle farmacie. Possono farlo legalmente, ma in questo caso si tratta di una prescrizione off label, cioè per una patologia diversa da quella indicata nel foglio illustrativo.

Per poter somministrare un farmaco ai bambini è necessaria un’autorizzazione separata da quella che serve per gli adulti. In tanti casi questo è comprensibile, perché i bambini possono reagire a una sostanza in modo molto diverso e quindi è necessario condurre una ricerca separata. Ma ottenere una licenza per un uso specifico è difficile, richiede un’ampia documentazione e una  serie di studi appositi. Spesso il percorso è così costoso che le aziende non si prendono la briga di richiedere l’autorizzazione a usare un farmaco peri bambini, perché si tratta di un mercato di solito più ridotto. Quindi succede che una medicina autorizzata solo per gli adulti sia prescritta anche ai bambini. Le agenzie governative addette ai controlli si sono rese conto del problema e di recente hanno cominciato a offrire incentivi alle aziende perché conducano più studi e chiedano formalmente le licenze.

Quando la GlaxoSmithKline (Gsk) chiese l’autorizzazione per commercializzare la paroxetina per i bambini, emerse una situazione che scatenò la più lunga inchiesta della storia nella regolamentazione dei farmaci nel Regno Unito. Tra il 1994 e il 2002, la Gsk
aveva compiuto nove test clinici sull’uso della paroxetina per curare i bambini affetti da depressione. I primi avevano dimostrato che non comportava alcun beneficio, ma l’azienda non fece nessun tentativo per informare i medici.e i pazienti cambiando il foglio illustrativo. Si sospettava da tempo che la paroxetina potesse aumentare il rischio di suicidio, anche se questo effetto collaterale è difficile da verificare. Nel febbraio del 2003 la Gsk aveva mandato spontaneamente all’Mhra una relazione informativa sul rischio di suicidio provocato dalla paroxetina. Il rapporto era basato sui risultati di alcune analisi effettuate nel 2002 sui dati negativi emersi da test che l’azienda aveva condotto dieci anni prima. Secondo la relazione non c’era nessun aumento del rischio di suicidio. Ma era falsata. All’epoca non si sapeva che in realtà i dati relativi ai bambini erano stati mescolati con quelli di un gran numero di adulti.

Nel 2003 la Gsk partecipò a una riunione con l’Mhra per discutere un’altra questione riguardante la paroxetina. Alla fine dell’incontro, i suoi rappresentanti presenOltre a prendere una medicina di cui la casa produttrice conosceva l’inefficacia, i bambini erano anche esposti ai suoi effetti collaterali bini affetti da depressione. I primi due avevano dimostrato che non comportava alcun beneficio, ma l’azienda non fece nessun tentativo di informare i medici e i pazienti cambiando il foglio illustrativo. Anzi, alla fine dei test, in un documento interno si leggeva: “Sarebbe commercialmente inaccettabile inserire nel foglio l’affermazione che la sua efficacia non è stata dimostrata, perché danneggerebbe l’immagine della paroxetina”. Nell’anno successivo a questo memorandum interno, solo nel Regno Unito furono firmate 32mila ricette in cui fu prescritta la paroxetina ai bambini. Negli anni seguenti furono effettuati altri studi, nove in tutto, e nessuno dimostrò che il farmaco fosse efficace per curare la depressione nei bambini.

Ma c’è di peggio. Non solo i bambini prendevano una medicina di cui la casa produttrice conosceva l’inefficacia; erano anche esposti ai suoi effetti collaterali. Purtroppo nessuno sapeva quanto fossero gravi gli effetti collaterali, perché l’azienda non l’aveva rivelato, neanche alle agenzie di controllo. Questo è stato possibile perché secondo la regolamentazione è obbligatorio informare le agenzie di controllo solo degli effetti collaterali emersi dagli studi sull’uso specifico per il quale si è chiesta la licenza. E dato che per i bambini la paroxetina era usata offlabel, la Gsk non era obbligata a comunicare a nessuno le sue scoperte. Si sospettava da tempo che la paroxetina potesse aumentare il rischio di suicidio, anche se questo effetto collaterale è difficile da verificare. Nel febbraio del 2003 la Gsk aveva mandato spontaneamente all’Mhra una relazione informativa sul rischio di suicidio provocato dalla paroxetina. Il rapporto era basato sui risultati di alcune analisi effettuate nel 2002 sui dati negativi emersi da test che l’azienda aveva condotto 10 anni prima. Secondo la relazione non c’era nessun aumento del rischio di suicidio. Ma era falsata. All’epoca non si sapeva che in realtà i dati relativi ai bambini erano stati mescolati con quelli di un gran numero di adulti.

Nel 2003 la Gsk partecipò a una riunione con l’Mhra per discutere un’altra questione riguardante la paroxetina. Alla fine dell’incontro, i suoi rappresentanti presentarono un documento in cui si diceva che l’azienda aveva intenzione di chiedere un’autorizzazione specifica per l’uso della paroxetina nei bambini e accennava anche al fatto che l’Mhra avrebbe potuto tener conto della possibilità di un maggior rischio di suicidio tra i bambini depressi che assumevano il farmaco. Si trattava di un effetto collaterale di vitale importanza, comunicato informalmente e con enorme ritardo attraverso un canale inappropriato. Anche se i dati erano stati consegnati alle persone sbagliate, il personale dell’Mhra presente all’incontro ebbe il buon senso di capire che si trattava di un’informazione importante. Si misero subito all’opera, ordinarono delle analisi e nel giro di un mese mandarono una lettera a tutti i medici consigliando di non prescrivere la paroxetina a pazienti al di sotto dei 18 anni.

Com’è possibile che il sistema per ottenere i dati dalle aziende sia così inefficiente da permettergli di tenere nascoste informazioni così importanti su un farmaco? È possibile perché la normativa contiene scappatoie assurde ed è preoccupante vedere come la Gsk abbia saputo sfruttarle. La conclusione dell’inchiesta, pubblicata nel 2008, era che la Gsk aveva agito in modo immorale e pericoloso per i bambini di tutto il mondo, ma le leggi britanniche erano così lacunose che l’azienda non poteva essere accusata di nulla. Dopo questo episodio, l’Mhra e l’Unione europea hanno cambiato alcune regole, che però sono ancora inadeguate. Hanno imposto alle aziende di rivelare i dati sulla sicurezza di un farmaco indipendentemente dalla richiesta di commercializzazione, ma gli studi condotti fuori dell’Ue restano esclusi da quest’obbligo. Alcuni dei test compiuti dalla Gsk sono stati in parte pubblicati, ma questo ovviamente non è sufficiente, perché sappiamo già che sono falsati. E abbiamo bisogno di tutte le informazioni anche per un motivo più semplice: i segnali di pericolosità sono spesso deboli e difficili da individuare. Nel caso della paroxetina la verità è emersa solo quando i dati negativi di tutti i test sono stati analizzati insieme.

Sistema lacunoso
Questo ci porta a parlare del secondo difetto evidente del sistema attuale: i risultati dei test vengono consegnati in segreto alle agenzie di controllo, che devono prendere una decisione. Ma la scienza non dovrebbe funzionare così: le sue scoperte sono affidabili solo quando tutti rendono pubbliche le loro ricerche, spiegano come fanno a sapere che qualcosa è efficace e sicuro, condividono metodi e risultati e consentono agli altri di decidere se sono d’accordo sul modo in cui quei dati sono stati elaborati e analizzati. Invece nell’ambito della sicurezza dei farmaci tutto avviene a porte chiuse, perché così hanno deciso le aziende farmaceutiche. Perciò il compito più importante della medicina viene svolto in segreto. E neanche le agenzie di controllo sono infallibili, come ora vedremo.

Il rosiglitazone fu messo in commercio nel 1999. Dopo circa un anno che era sul mercato, il dottor John Buse dell’università del North Carolina parlò in due convegni accademici del rischio che il farmaco facesse aumentare i problemi cardiaci. La Gsk, produttrice del medicinale, contattò direttamente Buse nel tentativo di metterlo a tacere, poi si rivolse al suo capo dipartimento. Nel 2007 una relazione della commissione finanze del senato statunitense parlava di “intimidazione” nel caso di Buse.

Ma quello che preoccupa di più sono i dati sull’efficaciae sulla sicurezza. Nel 2003 l’ufficio di Uppsala dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che si occupa del monitoraggio dei farmaci, contattò la Gsk a proposito di un numero insolitamente alto di rapporti che associavano il rosigli-tazone ai problemi cardiaci. La Gsk condusse due meta-analisi interne dei suoi dati nel loos e nel zoo6, che dimostrarono la fondatezza del rischio. Ma anche se l’azienda e la Food and drugs administration statunitense conoscevano i risultati, nessuna delle due fece una dichiarazione ufficiale, e non furono pubblicati fino al 2008.

Durante quel periodo, molti pazienti hanno continuato ad assumere la sostanza, ma né loro né i medici hanno saputo niente di questo problema fino al 2007, quando il cardiologo Steve Nissen e i suoi colleghi hanno pubblicato la loro analisi, dimostrando che per i pazienti trattati con il rosiglitazone il rischio di malattie cardiache aumentava del 43 per cento. Dato che le persone affette da diabete rischiano già di avere complicazioni cardiache, e il motivo principale per cui si cura il diabete è proprio quello di ridurre questo rischio, la scoperta ha fatto scalpore. I risultati di Nissen sono stati confermati da studi successivi e nel toro il farmaco è stato ritirato dal commercio o comunque il suo uso è stato limitato in tutto il mondo.

Ora, il punto non è che il medicinale avrebbe dovuto essere ritirato prima. Per quanto perverso possa sembrare, infatti, i medici a volte ricorrono a farmaci di qualità inferiore come ultima risorsa. Per esempio, un paziente può reagire male a un farmaco particolarmente efficace e deve smettere di assumerlo. Quando si verificano questi casi, a volte vale la pena provare un medicinale meno efficace, che è sempre meglio di niente. Il problema è che tutte queste discussioni avvenivano mentre i dati erano tenuti sotto chiave e potevano essere visti solo dalle agenzie di controllo. Anzi, Nissen aveva potuto fare la sua analisi solo grazie all’insolita sentenza di un tribunale. Nel 2004, quando si era saputo che la Gsk aveva tenuto segreti i dati sui gravi effetti collaterali della paroxetina nei bambini, il suo comportamento scorretto aveva dato origine a una causa civile per frode, alla fine della quale l’azienda, oltre a pagare i danni, aveva dovuto impegnarsi a pubblicare i risultati dei suoi test clinici su un sito web accessibile al pubblico.

Nissen aveva analizzato i dati sul rosi-glitazone e aveva fatto una scoperta allarmante di cui aveva informato i medici, cosa che l’agenzia di controllo non aveva mai fatto pur essendo in possesso dei dati da anni. Se queste informazioni fossero state accessibili fin dall’inizio, l’agenzia forse sarebbe stata più cauta nella decisione da prendere, ma in questo modo medici e pazienti avrebbero potuto non essere d’accordo con lei e fare una scelta informata.

È per questo che tutti i risultati dei test clinici dovrebbero essere accessibili. I dati mancanti danneggiano tutti. Se non si effettuano test seri, se i risultati negativi vengono tenuti nascosti, non possiamo sapere quali sono i veri effetti dei farmaci che usiamo. In medicina la necessità delle prove non è una questione accademica astratta. Quando ci forniscono dati falsati, possiamo prendere decisioni sbagliate e infliggere sofferenze inutili, se non addirittura la morte, a persone come noi.

L’AUTORE
Ben Goldacre è un medico britannico. Questo articolo è un estratto, adattato, del suo ultimo libro, Bad Pharma, che sarà pubblicato in Italia da Mondadori nella primavera del 2013.

Fonte: Internazionale

mercoledì 2 giugno 2021

13/04/2016 – Cosa sta accadendo in North Carolina ?

 


Semplicemente la morte del buon senso. E’ stata infatti approvata una legge in cui si specifica che "I bagni pubblici vanno divisi in maschili e femminili e chi è nato geneticamente maschio non può accedere al bagno femminile, e viceversa".

Ciò che stupisce non è tanto l’ovvietà di tale legge, ma il fatto che le associazioni Lgbt e diverse multinazionali -come Apple, Twitter e Paypal, Disney, Google, American Airlines ecc.-, si siano ferocemente opposte, affermando che "non bisogna discriminare e va permesso ad ogni individuo di scegliere il servizio igienico che vuole e che “si sente” di utilizzare".

La decisione di istituire questa legge è nata dopo la diffusione di casi in cui transessuali geneticamente maschi, o maschi che fingevano di essere transessuali, hanno approfittato della società gay-friendly americana per introdursi tranquillamente nei bagni femminili, arrivando a molestare sessualmente donne e bambine. Tra i casi più famosi c’è quello di Christopher Hambrook, un maniaco sessuale che ha deciso di fingere di essere un transessuale donna per potersi avvicinare ai luoghi frequentati dal sesso femminile, violentando quattro donne. «Chiunque poteva accedere ai bagni del sesso opposto. Tutto quello che doveva fare era affermare che il suo vero genere non era quello biologico», si legge sul National Review. «Lo scopo della legge è di garantire che le persone, soprattutto donne e bambini, possano utilizzare bagni pubblici e spogliatoi, senza essere esposti a persone di sesso biologico diverso. Si chiama buon senso».

L’Università di Toronto ha dovuto sospendere, almeno temporaneamente, le sue “politiche inclusive e non discriminanti” sull’uso dei bagni gender per le persone transessuali, dopo che alcune studentesse sono state molestate e videoriprese in momenti intimi da parte di alcuni studenti. Si sta quindi pensando di creare servizi igienici destinati solamente agli uomini che si identificano come donne, ma così si discriminerebbero i transessuali donna che si sentono uomini, anche loro necessitano di un bagno esclusivo. Così facendo, tuttavia, si violerebbero i diritti di Nano, la giovane donna che si “sente nata in un corpo sbagliato” e ritiene di essere un gatto. Servirebbe dunque creare una lettiera pubblica per felini a misura di esseri umani, e così via per accontentare ogni tipo delle più svariate “auto-sensazioni”. Siamo alla follia.

Nota di folklore: il più attivo contestatore della legge del North Carolina si chiama Chad Sevearance-Turner, presidente della Charlotte’s LGBT Chamber of Commerce. Ha dovuto dimettersi dopo che si è scoperto essere lui stesso un molestatore sessuale, condannato nel 2000 per pedofilia.

Tutto questo dimostra che le conseguenze sociali, una volta approvate le istanze Lgbt, sono anche concrete, arrivando a recare danno e discriminazione verso gli altri cittadini. La domanda “a te personalmente cosa cambia” se vengono istituite le nozze gay o accettate le richieste dei transgender, è fallace, poiché viviamo in un’unica società e ogni legge, lo insegnavano già gli antichi Greci, crea costume e condiziona la vita di tutti. Senza considerare che alla persona che pone tale quesito, non cambierebbe personalmente nulla nemmeno se venissero legalizzati ed istituiti la poligamia, l’eugenetica, l’incesto, la clonazione umana o la creazione di ibridi uomo-animale. Eppure, molto probabilmente, sarebbe ad essi comunque contraria.

“Ciò che cambia” con l’introduzione del matrimonio omosessuale è la distruzione delle fondamenta del matrimonio e, quindi, della famiglia costituzionalmente intesa, con ricadute su tutti. “Ciò che cambia” nell’accettare le richieste sociali delle persone transessuali è innanzitutto farsi complici -come ha ben chiarito lo psichiatra P.R. McHugh, professore emerito di Psicologia presso la Johns Hopkins University School of Medicine- di persone affette dal disturbo dell’identità di genere, patologia inserita nel Manuale di Classificazione dei Disturbi Mentali dall’American Psychiatric Association (APA), quindi confuse nella loro capacitá di intendere e volere rispetto alla loro identitá. In secondo luogo, esistono anche conseguenze concrete e discriminanti per tutti gli altri cittadini, come insegna il caso del North Carolina


mercoledì 31 marzo 2021

Decreto Legge

 

I decreti-legge, se non convertiti in legge entro 60 giorni, perdono efficacia sin dall'inizio. La perdita di efficacia del decreto-legge è chiamata "decadenza", che travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto-legge. Quando il decreto entra in vigore, esso è pienamente efficace e va applicato; ma se decade, tutto ciò che si è compiuto in forza di esso è come se fosse stato compiuto senza una base legale. Tutti gli effetti prodotti vanno eliminati perché costituiscono, una volta persa la base legale, degli illeciti.

L'art. 77 della Costituzione appresta uno strumento attraverso il quale è possibile trovare una soluzione: la legge di sanatoria degli effetti del decreto-legge decaduto (art. 77 ultimo comma). Si tratta di una legge riservata alle Camere con cui si possono regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Ovviamente, attraverso questo strumento è il Parlamento a risolvere il problema. Vanno considerati due aspetti:

1.    innanzitutto il Parlamento, quando decida di non convertire il decreto-legge, non è affatto tenuto ad approvare la legge di sanatoria. Si tratta di una decisione politica, come tale libera e non affatto indipendente della scelta, di coprire o meno la responsabilità del Governo;

2.    in secondo luogo non è una soluzione tecnicamente praticabile sempre e comunque. Il Parlamento può appunto regolare i rapporti giuridici sorti, ma nel rispetto dei principi costituzionali e, in particolare, del principio di eguaglianza, cioè del divieto di trattare situazioni eguali in maniera diversa e situazioni diverse in maniera eguale.

3.  Effetti perversi sulle tempistiche del processo legislativo ordinario

4.     Il decreto-legge, mosso dall'esigenza di anticipare gli effetti del provvedimento senza attendere i tempi di procedimento parlamentare, ha provocato il rafforzamento della sua causa, cioè ha fatto ulteriormente allungare i tempi medi dell'iter parlamentare.

5.     Più si allungano i tempi dell'iter parlamentare, più si fa necessario adottare i provvedimenti urgenti del decreto-legge; e viceversa. Quindi vi è un aumento inesorabile del ricorso al decreto-legge, al quale l'Esecutivo ricorre con sempre maggiore intensità. L'esigenza di ricorrervi è stata espressa anche ad altri livelli di normazione legislativa, come quello regionale: sul punto, però, il dato costituzionale è un elemento inconfutabilmente contrario.

 

 

Prassi e incostituzionalità della reiterazione dei decreti-legge

Se il decreto-legge è adottato per varare una disciplina complessa, per la quale il procedimento legislativo ordinario sarebbe stato troppo dispersivo, è assai improbabile che 60 giorni bastino all'esame parlamentare. Così è invalsa la prassi, dubbiamente costituzionale, della reiterazione del decreto-legge: alla scadenza dei 60 giorni il Governo emana un nuovo decreto-legge, che riproduce senza o con minime variazioni quello precedente, ormai scaduto, e ne sana gli effetti attraverso meccanismi diversi, il più comune dei quali è la retroazione degli effetti del decreto-legge reiterante, all'entrata in vigore del decreto reiterato.

Né il sistema politico, né le istituzioni parlamentari sono riusciti a bloccare il circolo vizioso e invertirne il corso: alcuni decreti-legge sono stati reiterati per ben 23 volte. Alla fine è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n° 360 del 1996 che ha posto un argine definitivo alla prassi della reiterazione[6]: le Camere ne presero atto il 30 ottobre 1996, assicurando per legge gli effetti prodotti dal decreto caducato per l'intervento della Corte costituzionale.

Giudicata assolutamente incompatibile con la disciplina costituzionale del decreto-legge, la reiterazione è ammissibile soltanto quando il nuovo decreto risulti formato su autonomi motivi di necessità e urgenza, motivi, che in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto.

Peraltro in passato, in caso di reiterazione di un decreto-legge su cui era in corso un giudizio di legittimità costituzionale presso la Corte costituzionale, la stessa Corte ha ritenuto possibile "trasferire" il giudizio sul testo identico del decreto reiterato.

 

 

 

Fonte wikipedia

https://it.wikipedia.org/wiki/Decreto-legge

domenica 28 marzo 2021

Comunicazione - Strumento del potere



La comunicazione è quella scienza moderna che attraverso opportuni strumenti (Carta stampata, TV e canali digitali) porta un messaggio a qualcuno in specifico, opportunamente studiato da esperti in comunicazione, per influenzarne il comportamento. A parte rari casi di “giornalismo indipendente” non esiste una “comunicazione libera”dal momento in cui è diventata un business interessante per la finanza ma anche e sopratutto un asset strategico per il capitalismo. Da quel momento la stampa ed i media, sono diventati gli strumenti degli “interessi economici prevalenti”  in una società capitalista è il potere insomma.( i così detti LORO )

Il potere si esercita con un unico scopo, PERPETRARLO e quindi, essendo oggi il potere basato sul denaro, lo scopo è accumularne sempre di più. Per accumularne sempre di più (denaro e potere)  è indispensabile addomesticare la politica nelle sue scelte (chi governa) e condizionare il comportamento delle persone, (cioè voi). 
La politica e Noi rappresentiamo i maggiori pericoli di destabilizzare il LORO potere. 
La politica perchè emana leggi e Noi perché facciamo due cose fondamentali che possono destabilizzare il potere VOTIAMO e CONSUMIAMO. Se non votiamo”chi desiderano” e se smettiamo di “consumare in modo compulsivo” ecco che allora sono dolori per Loro. 
Evviva una scoperta per tutti quelli che continuano a indirizzare i loro improperi a “LORO”. Loro sono gli INTERESSI ECONOMICI PREVALENTI.

Si sono quelli che si riuniscono a Davos una o due volte all'anno per decidere “come fare nel futuro per non intralciare gli specifici interessi che sono, ovviamente accrescere il loro potere cioè fare denaro.

Il controllo è un elemento strategico per le politiche economiche degli interessi economici prevalenti, cioè LORO e mai come in questi giorni di “pandemia” si manifestano in tutta la loro potenza l'uso della comunicazione per cogliere una opportunità straordinaria per estendere il controllo sulle persone e sulla politica contemporaneamente con una unica strategia mondiale. Per orientare il comportamento delle persone sussistono solo due strade o si uniformano tutti ad un comportamento comune, cosa complicata e lunga da realizzare perché necessita seguire le regole del totalitarismo, oppure conoscere il comportamento di ogni individuo. Con la scusa di “monitorare” le persone per controllare l'andamento della contaminazione virale attraverso applicazioni sugli smartphone e minacciando, vedi le affermazioni della OMS e di Bill Gate di cui lui e i maggiori poteri economici ne sono i maggiori finanziatori. una convivenza futura con una “serie imprecisata di virus pandemici” hanno colto una opportunità straordinaria, sia essa indotta ( virus messo in circolo ad arte o casuale ). La comunicazione ha un unico scopo, spingere le persone ad assoggettarsi VOLONTARIAMENTE a queste nuove regole di controllo. Certo non tutti ma sicuramente la maggioranza, Per i rimanenti due sono le strategie possibili ; un vaccino nel quale veicolare quello che è opportuno ed emarginare socialmente perché passati per potenzialmente pericolosi, coloro che non usano smartphone o che rifiutano di vaccinarsi.
Il gioco è incredibilmente intelligente, nessun obbligo coercitivo ma solamente “scelte “ offerte alle persone che penseranno di fare liberamente le loro scelte e delle quali LORO saranno perfettamente a conoscenza attraverso la tecnologia. Dati, dati dati, informazioni in una quantità immensa che solo con una opportuna rete potranno essere “portati” nelle memorie dei data base ed ecco la necessità della rete 5G.

Fantasia?, forse. Fantascienza? Probabile. Ma più ci rifletto e più mi sembra tutto così “perfetto” che a pensar male si fa peccato ma di solito ci si azzecca diceva qualcuno ma io aggiungerei, e che male c'è se poi sono tutte scemate ? Beh direi nessuno ma lascio ad ognuno di voi curare il seme della diffidenza e del farsi una opinione libera.


sabato 27 marzo 2021

Complotti e Complottisti

 

  




IL COMPLOTTO dei VERI COMPLOTTISTI - una riflessione

Quando ci si trova a parlare di “complottisti” si parte da un pregiudizio insinuato nella testa attraverso le tecniche di persuasione usate negli strumenti di comunicazione.

La definizione del termine è stata abilmente trasformata nella “metafora spregiativa” di persone mentalmente instabili perché diffidano delle versioni ufficiali che il “sistema” dà per spiegare alcuni accadimenti.

Manipolare il significato di termini, facendoli diventare termini dispregiativi se riferiti a persone pubbliche o a gruppi di persone, è una vecchia tecnica per screditare l’avversario agli occhi della opinione pubblica, che poi una sua opinione non ha, e per non dover discutere nel merito delle questioni.

Per comprendere meglio i termini della manipolazione partiamo dal significato di COMPLOTTO: Fonte Wikipedia : Intrigo rivolto copertamente a danno di enti o persone.

Fonte Treccani: intesa segreta tra poche persone, volta a rovesciare un potere, anche fig.: ordire un complotto; sventare un complotto] ≈ congiura, cospirazione, intrigo, macchinazione, trama.

COMPLOTTISTA, fonte Treccani: Organizzatore di complotti.

Il complottista quindi NON è il BAR MARIO, un idiota che fa e dice cose idiote ma anzi è una persona o gruppo che trama applicando una TECNICA SUBDOLA per raggiungere illegalmente degli scopi.

La storia è piena di complotti di potenti contro altri potenti per ottenere, aumentare o mantenere il potere. I servizi segreti non fanno proprio questo? Ordiscono e cercano di sventare complotti veri o ipotetici. Quindi essere sospettosi e diffidenti è il minimo.

A questo punto il ragionamento prende due direttrici:
Quelli che i complotti li fanno e Quelli che i complotti cercano di svelare.
Lascio a voi dedurre chi siano i veri COMPLOTTISTI.

Anzi un complotto vero ( vedi definizioni ) è quello di screditare coloro che i complotti temono e cercano di denunciare.



Bortone Francesco Paolo