martedì 26 giugno 2012

Il pianeta non ha più tempo


IL PIANETA HA BISOGNO DI TUTTI
George Monbiot,
The Guardian, Gran Bretagna
Pubblicato in italiano su Internazionale numero 954 del 22 giugno 2012

Strangolato dalla speranza. Questo è il destino di chi ha provato a difendere gli ecosistemi della Terra. Ogni volta che i governi si riuniscono per discutere la crisi ambientale ci dicono che è il vertice  dell’ultima spiaggia, l’incontro da cui dipende  il futuro del mondo, e che dopo tanti fallimenti la luce della ragione illuminerà il pianeta.
Sono tutte balle, e lo sappiamo. Ma speriamo lo stesso, per poi assistere a 190 paesi che discutono per tutta la notte sull’uso del congiuntivo nel paragrafo 286.
Sappiamo che alla fine del vertice il segretario generale dell’ONU spiegherà in moltissime lingue che le questioni ancora in sospeso ( cioè tutte ) saranno affrontate nel prossimo summit.
RIO+20 è solo l’ombra dell’incontro vivace ed ottimista di venti anni fa. Nel 1992 i leader mondiali riuniti nella città brasiliana ci dissero che nel 2012  i problemi ambientali del pianeta sarebbero stati risolti.
Invece abbiamo assistito ad una sequela di incontri, che probabilmente continueranno finché i delegati non saranno sommersi dalle acque.
La biosfera che i leader mondiali promisero di proteggere nel 1992 è in condizioni molto peggiori di 20 anni fa.
Non è il momento di dire che hanno clamorosamente fallito ?
I sistemi politici che dovrebbero rappresentare tutta la popolazione creano governi di milionari, finanziati e manovrati da miliardari.
Gli ultimi 20 anni sono stati un banchetto per ricchi.
Su richiesta delle multinazionali e dei miliardari i governi hanno rimosso ogni legge a tutela dei più deboli.
Chiedere a questi governi di proteggere la biosfera è come chiedere ad un leone di mangiare solo gazpacho.
La crisi ambientale non può essere affrontata dagli emissari dei miliardari.
Va cambiato il sistema.
Quindi la lotta per proteggere la biosfera è uguale a quelle per la ridistribuzione, per la tutela dei diritti dei lavoratori, per lo stato sociale e per l’uguaglianza di fronte alla legge.
I grandi movimenti sociali del diciannovesimo e ventesimo secolo però sono spariti, e hanno lasciato un vuoto.
I pochi che ancora si ostinano a combattere i poteri arbitrari sono isolati. Quando poche centinaia di persone si ribellano – come quelle di Occupy – il resto del paese non fa nulla, spera solo che quei pochi realizzino un cambiamento  che in realtà avrebbe bisogno del contributo di milioni di persone.
Senza i movimenti di massa e senza il confronto necessario a rivitalizzare la democrazia, la politica perde valore. Eppure continuiamo a non mobilitarci. Forse perché siamo stati troppo spesso sedotti dalla speranza, che con il tempo è diventata il nostro cappio. 

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